Le forme della violenza

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Il 25 novembre è la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
E’ stato scelto questo giorno perché nel 1960 si consumò il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, ai tempi della dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana. Queste giovani donne, considerate rivoluzionarie, vennero torturate, massacrate, strangolate, i loro corpi furono gettati per simulare un incidente. Sempre più spesso ascoltiamo e apprendiamo dai quotidiani notizie relative ai fenomeni del femminicidio, stupro, maltrattamento, e della violenza sui minori, e veniamo sempre più a conoscenza che chi commette reato sono persone che dicevano di “amare” le proprie vittime. I dati ISTAT aggiornati al 2017 descrivono che quasi 7 milioni di persone nelle propria vita hanno subito una forma di abuso. Parliamo di 1 vittima ogni tre giorni. Negli ultimi dieci anni, riporta il sito dell’ANSA in Italia sono state uccise 1.740, di cui 1.251 (il 71,9%) in famiglia.

Violenza di Genere

E’ violenza contro le donne, ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.
Quando si parla di violenza di genere si intendono tutte quelle forme di violenza da quella psicologica a quella sessuale, fino al femminicidio e riguarda tutte quelle persone discriminate in base al sesso; è caratterizzata da una serie distinta di azioni fisiche o sessuali, di coercizione economica e psicologia che hanno luogo all’interno di una relazione intima attuale o passata. Si tratta, quindi, di una serie di condotte che comportano nel breve e nel lungo tempo un danno sia di natura fisica, sia di tipo psicologico che esistenziale.
Il riconoscimento internazionale che le donne hanno diritto a una vita libera dalla violenza è un tema abbastanza recente. L’ONU si è occupato di promuovere i diritti delle donne a partire dal ’93, ponendo l’attenzione nello specifico all’alto tasso di violenza femminile. Nel maggio del 2011 entra in vigore la Convenzione di Istanbul: “il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza”.
La violenza che l’uomo esercita sulla donna può essere di vari tipi:
violenza fisica;
violenza verbale;
violenza sessuale;
violenza economica;
violenza domestica;
stalking.

Secondo la teoria di Lenore E. Walker, alla base della dinamica della violenza vi è il controllo, questo viene esercitato sia da chi maltratta sia da chi subisce. La donna infatti cerca di tenere sotto controllo la rabbia del partner, sente in sé il peso della sua missione salvifica verso il suo partner. Ciò che induce le donne a rimanere con l’uomo violento sperando in un suo cambiamento, è l’alternarsi di fasi di violenza con fasi di falsa riappacificazione. La brutalità, la mancanza di risorse e la superiore forza fisica del partner contribuiscono a creare il senso di impotenza nella vittima; l’aggressore condiziona la vittima a credere di essere incapace di fuggire, sottoponendola a continui episodi di controllo e abuso. In questo modo la vittima è in difficoltà tale da non riuscire ad interrompere la relazione e soprattutto nel cercare aiuto. Un modo per sopravvivere ai continui maltrattamenti, e alle difficoltà derivate dai comportamenti del proprio partner, le donne utilizzano delle strategie difensive quali la minimizzazione, la negazione della gravità delle violenze, l’inibizione del ricordo, la vergogna e la colpa.

Le emozioni della violenza

La maggior parte delle vittime che subiscono violenza sentono la propria responsabilità dell’accaduto, tendono ad incolpare se stesse per il fatto di aver indossato un abito particolare, o di aver assunto un atteggiamento che ha spinto il proprio compagno allo sfogo di rabbia. Il senso di colpa poi aumenta nel momento in cui le vittime erano sotto l’influenza dell’alcol. In quest’ultimo caso, infatti può verificarsi anche una difficoltà nella denuncia perché sovviene il timore di un giudizio negativo. Inoltre, durante una relazione violenta la sensazione di blocco e di impotenza è frequente da parte delle donne, che spesso non concede loro la possibilità di chiedere aiuto. Tutto questo diventa invalidante per la vita della persona che subisce violenza.
Subire violenza infatti, rappresenta una delle esperienze più traumatiche e disorganizzanti che gli esseri umani di qualsiasi età possano sperimentare, e quando questa esperienza si consuma all’interno di un legame di coppia risulta ancora più deflagrante. La coppia infatti, rappresenta un contesto affettivo avvertito generalmente come luogo sicuro, protetto e difeso, quando questo viene messo in discussione da azioni violente sperimentiamo emozioni quali paura, rabbia, dolore, amore, odio, vergogna che con difficoltà riusciamo a regolare. La rabbia, la paura e il tema della trasmissione intergenerazionale del trauma e dell’abuso rappresentano oggi contributi innovativi a questo tema.

Violenza domestica

Quando parliamo di violenza domestica immaginiamo subito di percepire il senso di impotenza e di schiavitù in cui una persona è obbligata a vivere. Alcuni studi condotti dimostrano che le donne sono più a rischio di violenza nelle loro case che fuori. Tempo fa esisteva un codice di Famiglia, ci riferiamo al 1865 dove le donne non avevano alcun diritto sulla tutela dei propri figli, non potevano essere ammesse ai pubblici uffici, o non potevano gestire il patrimonio del marito. Durante il periodo fascista il “Codice Rocco” vedeva la donna come “sposa e madre esemplare” creatura obbediente al suo destino biologico, finalizzata quindi alla sola funzione riproduttiva che veniva esaltata come missione per il bene della patria e quindi del regime. Inoltre l’art. 587 (Codice d’Onore) del codice penale prevedeva la riduzione di un terzo della pena per chiunque uccidesse la moglie, la figlia o la sorella per difendere l’onore suo o della famiglia.
L’autonomia della donna sembra creare ancora oggi una grande difficoltà. E’ pur vero che tutto questo è successo in modo molto rapido, cioè la figura femminile si è distaccata sempre di più dallo stereotipo della donna sottomessa, svincolando così l’uomo dal suo status di potere. Inizialmente il ruolo della donna è stato percepito come poco produttivo e poco economico, elevando così l’uomo a capo indiscusso della famiglia. Con l’avvento delle religioni monoteiste la donna acquista il ruolo di “tentatrice”. Infatti l’impostazione cristiana pone la donna in una dimensione schizofrenica, in cui è identificata ora con la figura di Eva ora con quella di Maria. Oscilla quindi da una posizione di incontrollata sfrenatezza sessuale ad una immagine di donne angelica, irraggiungibile e irreale.
La violenza che si consuma all’interno delle pareti domestiche non è un fenomeno improvviso, di solito assume le caratteristiche di ripetitività. La donna infatti percepisce se stessa in questa situazione come insicura, prova sentimenti di paura e svalutazione fino a percepire se stessa come folle. Eppure molto spesso si ci domanda come mai le donne che subiscono violenza hanno difficoltà a interrompere una situazione tanto devastante. La violenza è un comportamento appreso infatti trae le sue origini dalle prime esperienze infantili. Queste esperienze poi nell’età adulta vengono rimesse in atto anche inconsapevolmente come uniche forme di relazione affettive riconosciute.
Le persone vittime di violenza domestica si sentono nella maggior parte dei casi internamente “attaccate” al partner abusanti e bisognose di esse, nonostante li temano enormemente. La teoria dell’attaccamento di Bowlby risulta essere una tra le più influenti prospettive per comprendere le dinamiche relazionali. Lo psicanalista ha messo in risalto quanto la medesima forza del legame d’attaccamento al partner determini anche l’enorme difficoltà ad abbandonare una relazione violenta; tale difficoltà potrebbe essere amplificata anche dalle esperienze passate che potrebbero aver portato i partner a sentire di non poter ricevere una trattamento migliore in altre relazioni o addirittura di incolparsi del maltrattamento subito.La donna durante la relazione con un partner violento è invasa da emozioni quali la colpa, vergogna e paura soprattutto nel richiedere aiuto. La violenza subita nel tempo infatti porta spesso la donna in un circuito di sintomi e disturbi di una certa rilevanza patologica. Il PTSD cioè il disturbo post-traumatico da stress, sembra quello maggiormente rilevato sulle vittime di violenza.

Dinamica dello stupro

Si definisce violenza sessuale quando s’infligge sofferenza fisica a una persona, o la si minaccia di farlo durante l’imposizione di un atto sessuale non consenziente.Le motivazioni psicologiche dell’aggressore, autore di reato di stupro, sono da ricercare non tanto nell’eccitamento sessuale, quanto nell’imporre la propria dominanza e forza sulla vittima. Il bisogno di esercitare tale forza e controllo, attraverso la violenza, potrebbe derivare da sentimenti inconsci di impotenza e svalutazione, o da un profondo vuoto interno. La vittima viene de-umanizzata dalla condotta sado-masochista dell’aggressore che agisce violenza. Le conseguenze per le vittime di stupro non sono così diverse da quelle dalle violenza domestica, la persona avvertirà un senso di vergogna e colpa per l’accaduto, ansia fobie, disturbi del sonno, sintomi somatici e isolamento sociale, sono solo alcuni dei sintomi avvertiti dopo l’evento traumatico.
Femminicidio
Il termine femminicidio è stato coniato da Diana Russel, scrittrice e attivista, nel libro Feminicide: The Politics of Woman Killing(1992). Tale termine , dunque esprime la violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna “in quanto donna”: “ il concetto di femminicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche misogine”.Marcela Lagarde antropologa messicana, afferma che il fenomeno è di tipo strutturale e comprende tutte quelle pratiche discriminatorie e violente, riconosciute come illegali ma “legittimate” dalla società, che mirano ad annullare l’identità e la libertà della donna in tutte le sue espressioni e nei diversi contesti di vita.
Oggi il femminicidio è una categoria di analisi socio-criminologica delle discriminazioni e violenze nei confronti delle donne per la loro appartenenza al genere femminile.

L’uomo violento

Il profilo di personalità dell’autore di violenza rivela spesso una persona intensamente dipendete dalle relazioni intime, timorosa di essere abbandonata, ma incapace di mantenere relazioni a causa della rabbia e dell’impulsività. Queste caratteristiche sono relative ad esperienze delle prime fasi dello sviluppo in particolare in quei casi in cui il padre rifiutante e abusante si è servito della vergogna e dell’umiliazione per attaccare il senso di sé del ragazzo.
La famiglia ha un ruolo importante nella creazione di modelli comportamentali e quando questa è scenario di violenza, il bambino tenderà ad acquisire questi modelli. Peter Fonagy sulla base delle riflessioni di Bowlby (teoria dell’attaccamento) e partendo dalla constatazione che gli uomini violenti hanno spesso una storia di abuso alle spalle, ha ipotizzato che la rabbia e la paura assumono una funzione importante nelle relazioni d’attaccamento. Queste persone, infatti, avvertono costantemente la minaccia di perdere le figure affettivamente importanti e utilizzano la rabbia e la messa in atto di comportamenti violenti per fronteggiare a questa frustrazione. In genere sono persone che hanno vissuto dinamiche relazionali passate che li hanno resi particolarmente sensibili all’ansia e alla separazione.

Conclusioni
Le donne hanno lottato molto per ottenere un posto nella società, e ancora oggi ci sono donne che non godono di nessun diritto. Donne abusate, e maltrattate solo perché donne. Le conquiste femminili sono state il catalizzatore di cambiamenti positivi importanti, ma hanno creato anche diversi fraintendimenti: parità ed uguaglianza sono utilizzati in modo interscambiabile. Battersi per la parità significa anche incoraggiare i cambiamenti sociali, i diritti individuali indipendentemente dal genere, razza e apparenza religiosa. La parità di tutela e le opportunità rappresentano un grande passo verso questa rivoluzione culturale. Continuiamo, però a pensare alla donna come la principessa delle fiabe, una donna da salvare e proteggere, fragile e bisognosa di attenzioni. L’emancipazione femminile e le sue lotte hanno concesso dunque, la libertà alla donna di decidere per se stessa, di appropriarsi di una autonomia sessuale, lavorativa e sociale: non tutte le donne devono essere salvate, non tutte le donne sono in attesa di un principe azzurro, non tutte le donne vogliono essere madri e mogli. Oggi i ruoli maschio/femmina spesso si confondono e si sovrappongono il lavoro femminile, il divorzio l’aborto, la libertà sessuale, il bisogno sempre più crescente di indipendenza. Non possiamo pensare che uomini e donne siano uguali, perché non lo sono, ma possiamo pensarli aventi gli stessi diritti. Bisognerebbe, allora promuovere la parità nelle diversità, in questo modo, forse, potremo uscire da stereotipi quali donna vittima/uomo carnefice.

 

 

 

 

Bibliografia

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http://www.esteri.it/mae/approfondimenti/20090827_allegato2_it.pdf

Gli aspetti psicologici della violenza sessuale: perché il silenzio? Il senso di colpa nelle vittime di violenza

Gli aspetti psicologici della violenza sessuale: come e perché agisce lo stupratore?